2. Ricordi dolorosi

Iwata:

Sembra che lo sviluppo di Sin and Punishment per Nintendo 64 sia stato talmente faticoso da farla sospirare ancora oggi. Può dirci cosa è successo di preciso?

Nakagawa:

Beh, i mirini in un gioco “punta e spara” si muovono in 2D, ma...

Iwata:

L’ambiente del gioco è in 3D.

Nakagawa:

Esattamente. Devi usare un mirino 2D per colpire un avversario 3D con un proiettile. Il che mi portò a pensare: “Come potrò mai farlo?!”. Ed è così che tutto ebbe inizio.

Iwata:

Capisco.

Nakagawa:

Perciò provai diverse soluzioni e alla fine capii come colpire i nemici con i proiettili.

Iwata:

Certo.

Nakagawa:

Ma poi... (fa un'espressione delusa)

Iwata:

Poi?

Nakagawa:

I proiettili del nemico non colpivano te.

Tutti:

(ridono)

Iwata:

Ah, i nemici non riuscivano a colpire il giocatore. (ride)

Nakagawa:

Quando il personaggio del giocatore non è sullo schermo il problema si può eludere, ma noi stavamo realizzando un gioco con un personaggio visibile, quindi non si poteva barare.

Iwata:

Se si fosse trovato solo un po' all’esterno sarebbe apparso innaturale e non andava bene.

Nakagawa:

Proprio così. Quanti ricordi dolorosi... Come con i boss.

Iwata:

I boss?

Nakagawa:

Per impressionare, i boss devono essere grandi. Se non lo sono...

Iwata:

Non sono dei boss.

Nakagawa:

Esatto. Ma in 3D i boss appaiono sullo sfondo dello schermo.

Iwata:

Il che è normale.

Nakagawa:

Quando li abbiamo messi sullo schermo erano così piccoli che veniva da pensare: “Questo non è un boss!”. Mentre in realtà erano enormi.

Iwata:

Erano enormi, ma sembravano piccolissimi.

Nakagawa:

(con un’espressione addolorata) Eh già...

Iwata:

Un bel problema. (ride)

Nakagawa:

Davvero. In Sin and Punishment puoi sferrare attacchi molto ravvicinati, quindi pensavo che la grandezza dei boss sarebbe stata evidente. Ma da vicino erano troppo grandi!

Iwata:

(ride)

Nakagawa:

(con un’espressione afflitta) Non stavano nello schermo.

Iwata Asks
Iwata:

Quando ci si avvicinava, non si capiva se era un boss o qualcos'altro.

Nakagawa:

Esatto. Tutto ciò che si vedeva era un grosso piede. Pensavi: “Beh, probabilmente è un boss... ma potrebbe anche essere solo un piede”.

Tutti:

(ridono)

Iwata:

Quante esperienze dolorose.

Nakagawa:

(annuisce in silenzio)

Iwata:

Quando Sin and Punishment uscì, pensavo fosse un gioco molto ambizioso. Mi dicevo: “Di sicuro hanno grandi progetti per il Nintendo 64!”. Nakagawa-san, era lei quello che amava sfidare le regole?

Nakagawa:

Sì. (con decisione)

Iwata:

Lo immaginavo.

Nakagawa:

Mi piace... ma è dura.

Iwata:

(ride)

Maegawa:

È sempre stato così, come sfidare i limiti hardware del NES e così via.

Iwata:

Ai tempi di NES e Super NES scoprire utilizzi dell’hardware non previsti dalle specifiche e fare cose che nessuno aveva mai fatto rendeva felici i programmatori.

Maegawa:

È vero.

Iwata:

Se in un gioco sviluppato da altri mi imbattevo in qualcosa senza riuscire a spiegarmi come avessero fatto a realizzarla, mi sentivo impazzire, ma ero soddisfatto quando vedevo la gente stupita per qualcosa realizzata da noi.

Maegawa:

So cosa intende. È con questo spirito che abbiamo realizzato la versione per Nintendo 64.

Iwata:

Quindi Nakagawa-san, avete lavorato sodo e...

Nakagawa:

Sì. Poi ci siamo trovati davanti a problemi enormi. Non solo in fase di programmazione, ma anche a livello di design.

Iwata:

Anche lei ha avuto problemi Suzuki-san?

Suzuki:

Sì. Ricordo che nel design avevo grossi problemi con la mappatura delle texture.99Mappatura delle texture: la sovrapposizione di immagini sugli oggetti 3D per differenziare le texture e i personaggi.

Iwata Asks
Iwata:

Con il Nintendo 64 la dimensione delle texture era molto limitata. Se non riuscivi a trovare soluzioni creative durante la costruzione dei dati, i tempi di elaborazione aumentavano drasticamente.

Suzuki:

È vero. Per evitarlo provammo cose tipo l’eliminazione delle ossa10. Si trattava di capire se saremmo stati capaci di tradurre questi limiti in qualcosa di positivo. 10Eliminazione delle ossa: riduzione nel numero di giunture nei modelli 3D.

Iwata:

Tra parentesi, al giorno d’oggi la tendenza è coinvolgere un gran numero di persone nello sviluppo di un gioco, mentre alla Treasure siete in pochi a fare molto lavoro.

Maegawa:

Sì, credo che sia così.

Iwata:

Spesso resto sorpreso da ciò che riuscite a fare con una squadra di queste dimensioni. Secondo me realizzate giochi incredibilmente entusiasmanti.

Maegawa:

Beh, lavoriamo a un ritmo frenetico...

Nakagawa/Suzuki:

(annuiscono ripetutamente)

Iwata:

(ride)

Maegawa:

Fondamentalmente seguo la filosofia di lasciare carta bianca allo staff nella realizzazione del gioco. Ma se, diciamo, 30 persone tentano ciascuna di fare il gioco come più gli piace, non sarebbero mai d’accordo su nulla. Ciascuno avrebbe la propria opinione e direbbe: “Io voglio farlo così!”. “Pochi, ma buoni” non è solo un simpatico modo di dire. Quando si è in tanti, non si combina nulla.

Iwata Asks
Iwata:

Con troppa gente non si riesce a trovare un punto d’incontro. (ride)

Maegawa:

Giusto. Hai bisogno di qualcuno, come Nakagawa in questo caso, che sia direttore e programmatore e metta tutto insieme. È per questo che nella prima fase del progetto la squadra era ridotta al minimo, due programmatori e due disegnatori, per realizzare gli elementi base del gioco e abbiamo cominciato con poche persone. Certo, alla fine erano coinvolte tante persone come non era mai accaduto nella storia della Treasure.

Iwata:

Una volta stabiliti questi elementi base, le ho chiesto di mostrarmeli e ho capito subito che si trattava di qualcosa di importante.

Maegawa:

Come sicuramente saprà, ai tempi del NES una sola persona poteva realizzare un intero gioco.

Iwata:

È vero. All’epoca c’era un solo programmatore. Era normale che l’intero team fosse composto da tre sole persone.

Nakagawa:

Alla Treasure è così anche oggi!

Iwata:

(ride)

Maegawa:

Ancora oggi è normale che tre persone formino un team nella nostra società. In questo modo possono fare ciò che vogliono e farlo davvero bene. Ma non è questo l’unico motivo per il quale insisto sulla mia regola dei piccoli numeri. La realtà è che semplicemente siamo in pochi...

Nakagawa/Suzuki:

(annuiscono)

Iwata:

(ride) Per dirla in termini positivi, vuol dare l'opportunità a ognuno di dare il meglio di sé quando realizza qualcosa.

Maegawa:

Sì, ma non sarebbe sbagliato neanche dire che facciamo esattamente quello che vogliamo. (ride)