1. ''Nell’industria videoludica ad ogni costo!''

Iwata:

Oggi sono qui con due colleghi di NAMCO BANDAI Games1 che hanno lavorato al titolo Tekken 3D: Prime Edition. Grazie per essere venuti. Sono felice che siate qui oggi. 1 NAMCO BANDAI Games Inc.: azienda nata nel 2006 dalla fusione di BANDAI Co., Ltd. e NAMCO Ltd. con sede a Shinagawa Ward, Tokyo.

Harada e Ikeda:

Grazie.

Iwata:

Per prima cosa vorrei che vi presentaste e che mi raccontaste come avete iniziato a muovere i primi passi nel mondo dei videogiochi.

Harada:

Intende dire per lavoro?

Iwata:

No, sono sicuro che vi siete avvicinati a questo mondo ben prima che i videogiochi divenissero la vostra occupazione principale, dunque m’interessa conoscere ogni dettaglio.

Harada:

D’accordo. Io sono Katsuhiro Harada, produttore della serie Tekken2. Quando ero bambino, i miei parenti avevano un bar in cui c’era l’arcade Space Invaders3, ed è grazie a questo che ho iniziato ad amare i videogiochi. I miei genitori erano molto severi, e mi avevano proibito di usarli. 2 Tekken: serie di giochi di combattimento. Il primo titolo della serie era un videogioco arcade pubblicato nel 1994 da NAMCO Ltd. 3 Space Invaders è un videogioco arcade uscito nel 1978.

Iwata Asks
Iwata:

Sono sicuro che i suoi genitori non avrebbero mai immaginato che un giorno lei

Video: si sarebbe lanciato di testa contro le finestre di un grattacielo, finendo per andare a sbattere

Oggi sono qui con due colleghi di NAMCO BANDAI Games 1 che hanno lavorato al titolo Tekken 3D: Prime Edition . Grazie per essere venuti. Sono felice che siate qui oggi. 1 NAMCO BANDAI Games Inc.
si sarebbe lanciato di testa contro le finestre di un grattacielo, finendo per andare a sbattere contro (Yoshinori) Ono-san!4 (ride) 4 Yoshinori Ono: produttore della serie Street Fighter. Vicedirettore della Consumer Games R&D Division e General Manager del R&D Tokyo Production Department presso CAPCOM Co., Ltd. Ha partecipato alla Iwata Chiede: Sviluppatori terze parti per Nintendo 3DS.

Harada:

Certo che no! (ride) Non volevano comprarmi il Nintendo Entertainment System, così per giocare dovevo andare a casa dei miei amici o intrufolarmi in una sala giochi. Credo sia per questo che, al momento di cercare un lavoro, pensai: “Voglio entrare nell’industria videoludica ad ogni costo!”. I miei genitori erano disperati.

Iwata:

Parliamo di un periodo in cui probabilmente i genitori non volevano che i loro figli lavorassero nel settore dei videogiochi...

Iwata Asks
Harada:

Sono nato negli anni Settanta, e per la generazione dei miei genitori l’industria videoludica era un mondo del tutto sconosciuto.

Iwata:

Che cosa ha studiato all’università?

Harada:

Ho studiato psicologia, dunque una materia completamente scollegata dai videogiochi. Ho avuto la mia prima offerta di lavoro da Namco quasi per caso. All’inizio non mi occupavo della realizzazione dei videogiochi, ma di vendite.

Iwata:

Quindi la sua carriera è iniziata nelle vendite.

Harada:

Esatto. In realtà credo di non aver mai pensato di voler sviluppare un videogioco. La mia testa era un vortice di pensieri del tipo: “Quanto mi divertirei e quanta libertà potrei avere se per lavoro non dovessi far altro che giocare?”. (ride) Mi scervellavo su quale potesse essere il modo migliore per coinvolgere il pubblico in un gioco, ed è per questo ho accettato l’offerta di lavorare nel settore delle vendite e di organizzare eventi videoludici.

Iwata:

Forse è stata una reazione al fatto che i suoi genitori non pensavano che i videogiochi fossero divertenti.

Harada:

Esattamente! Credo che la passione che sento per i videogiochi sia in parte una reazione a qualcosa, una sorta di ribellione.

Iwata Asks
Iwata:

Il suo primo incarico dunque è stato l’organizzazione di eventi.

Harada:

Sì. Ho lavorato in una fiera di giochi arcade promossa da NAMCO, dove mi occupavo di cercare partecipanti ai tornei, come quello di Street Fighter5. Con i videogiochi arcade puoi vedere da vicino le reazioni dei clienti e questo mi ha permesso di accumulare una certa esperienza. Dopo qualche tempo ho iniziato ad avere delle idee ben precise e questo mi ha spinto a dare alcuni suggerimenti al reparto Ricerca & Sviluppo. 5 Street Fighter: serie di giochi di combattimento. Il primo titolo, pubblicato da CAPCOM Co., Ltd., è uscito nel 1987 come videogioco arcade.

Iwata:

Gliel’hanno lasciato fare fin dall’inizio?

Harada:

No, in realtà non ne avevo l’autorità. Ma avevo finito di studiare da un anno e non sapevo niente sul protocollo da seguire, dunque al mio secondo mese di lavoro presi ed entrai negli uffici dedicati allo sviluppo.

Iwata:

Cosa? Davvero? Beh, non c’è che dire, il personale addetto alla sicurezza doveva essere davvero molto rigido...

Harada:

Ricordo di aver aspettato fuori dalla toilette finché il personale addetto alla sicurezza non ha aperto la porta degli uffici! (ride) All’inizio tutti si chiedevano “Chi è quel tizio?”, ma io continuavo imperterrito a gironzolare per i corridoi, dunque presumo che alla fine abbiano pensato che avessi il permesso di stare lì.

Iwata:

Beh, dal punto di vista dello sviluppatore è sempre bello avere qualcuno che viene a darti informazioni “dalla prima linea”. Ma devo dire che il suo è un modo molto interessante di violare le regole! (ride) Quando ha iniziato a occuparsi dello sviluppo di videogiochi?

Harada:

Nel mese di aprile del mio secondo anno in azienda. Stavo collaborando a eventi che richiedevano che indossassi un costume e facessi cose un po’ strambe e alla fine del mio primo anno nelle vendite ricevetti un premio dal presidente dell’organizzazione. Così colsi l’occasione per dirgli apertamente: “Ah, comunque vorrei essere trasferito in un altro reparto...”. (ride) Tutti mi dissero “Ehi, aspetta un attimo!”, ma io pensai che se l’avessi chiesto al presidente in persona, magari avrei ottenuto ciò che volevo. E infatti in aprile mi spostai nel reparto Ricerca & Sviluppo.

Iwata:

Wow, la sua assoluta “elasticità” sul sistema è davvero affascinante. (ride) Ma credo che tutte le persone con cui è entrato in contatto abbiano capito che lei voleva solo far sì che la gente potesse comprendere meglio il mondo dei videogiochi.

Iwata Asks
Harada:

Forse è così. Anche se sapevo bene che c’era un limite a ciò che potevo fare da solo per mostrare alla gente quanto i videogiochi potessero essere prodotti straordinari. All’epoca non c’era Internet e dare il via al passaparola non era facile. In più, noi giapponesi ci imbarazziamo facilmente, ed è raro che, persino nelle sale giochi, ci si metta a parlare con un estraneo.

Iwata:

All’epoca i giochi di combattimento erano macchine enormi, ma la gente giocava comunque in completo silenzio.

Harada:

Esatto. Ed io volevo cambiare le cose. Così pensai che... sa quando, a scuola, i tipi divertenti finiscono per diventare un vero e proprio argomento di conversazione? Volevo usare lo stesso metodo comunicativo per i videogiochi, dunque agli eventi iniziai a indossare un costume e una parrucca e divenni una sorta di presentatore-intrattenitore. Pian piano la gente cominciò a parlare di me, e persino a esprimere una qualche forma di incitamento durante le gare. Anche se i miei genitori non furono molto contenti di vedermi in quei panni! (ride)

Iwata:

Decise cioè di mettere in pratica l’idea secondo cui la gente, vedendola e parlando di lei, avrebbe “gustato” i giochi in modo diverso.

Ikeda:

L’idea di Harada-san di avere un trainer che faccia qualcosa di interessante per mostrare qualcosa di altrettanto interessante rimane valida ancora oggi.

Iwata Asks
Harada:

È la base del mio modo di pensare. L’importante, come si suol dire, non è solo realizzare qualcosa di positivo, ma comunicare qualcosa. Io volevo far sì che ai miei severissimi genitori arrivasse questo messaggio: “Guardate come si divertono queste persone a giocare con i videogiochi!”.

Iwata:

Dopo il suo trasferimento al reparto Ricerca & Sviluppo, quanti “scambi di opinione” ci sono voluti per farsi accettare dai nuovi colleghi?

Harada:

Questo forse è successo perché non ho saputo interpretare molto bene l’atmosfera dell’ufficio, ma... il secondo giorno andai dal capo di ogni sezione e, senza nemmeno presentarmi in modo appropriato, dissi qualcosa del tipo: “Dovreste fare tutti i giochi d’azione come dico io”.

Iwata:

Cosa? Anche se era solo al suo secondo anno di lavoro ed era appena arrivato nel nuovo reparto?

Harada:

Sì. Avevo fatto carriera, così pensavo che tutti mi avrebbero accettato fin da subito. (ride)

Iwata:

Ikeda-san, lei era già lì?

Ikeda:

No, all’epoca lavoravo nel reparto video di un’altra azienda, dunque non ne sapevo niente. Quando mi hanno raccontato questa storia, sono rimasto scioccato. (ride)

Iwata:

Ho intervistato molti sviluppatori, ma credo sia la prima volta che sento una cosa del genere. (ride) Ad ogni modo, non è mai possibile sapere con certezza se le idee interessanti potranno essere realizzate.

Harada:

È vero. Penso che nel mio caso si possa parlare di “ossessione”, più che di passione. All’inizio facevo in modo di essere sempre l’ultimo a lasciare l’ufficio la sera. Volevo dimostrare ai miei colleghi che trascorrevo più della metà della mia vita al lavoro. A parlarne ora, mi rendo conto di quanto fossi sciocco. Ma volevo trasmettere un’idea di totale affidabilità. Una volta ricevemmo circa 6.000 cartoline dai nostri fan: io le lessi tutte in due notti e ne preparai un grafico riepilogativo.

Iwata Asks
Iwata:

Non crede di aver agito così non tanto per cercare di ingraziarsi i nuovi colleghi, quanto per la necessità di analizzare le reazioni della gente ai suoi output? C’era un processo in corso d’opera, durante il quale lei aveva osservato dal vivo le reazioni della gente e tali reazioni erano un feedback per capire cosa fosse necessario fare.

Harada:

Sì, è proprio così. Sono sempre stato interessato ai feedback degli utenti, sia che si trattasse di commenti sentiti nei negozi che di osservazioni emerse dai sondaggi. I feedback erano la mia principale fonte informativa.